I limiti della star di Twilight che recita da tenebroso.
Cominciamo dai baffi. Come si fa a tagliare i baffi a Bel Ami, spesso citati nel romanzo di Guy de Maupassant, che fanno parte del costume fine 800 parigino e rappresentano una zona erogena semovente, in 3D? Ma quello che manca nella riduzione di due teatranti nuovi al cinema, Declan Donnellan e Nick Ormerod, è la profondità di campo storico-psicologica, tutto ciò che in genere sta sotto l’abbondante glamour del dècor.
Superficialmente, nella dolce vita dell’arrampicatore della belle époque che tenta la strada del giornalismo colluso con la politica, ci sono gli elementi per attualizzare il bellissimo libro: ogni volta che appaiono amoralità, corruzione, sprezzante machismo, aggiotaggio politico, tutto diventa nostro contemporaneo anche se qui siamo nel 1890 e per le strade della Parigi della Restaurazione girano Gigì e Proust. Il sottotitolo di Bel Ami, nome che viene dato a Georges Duroy da una maliziosa bambina a quell’indigente sciupafemmine di donne sposate, ex militare in Algeria che gira per le alcove utili, è: «Tentazione, desiderio, ossessione». Ma bisogna dire che quel che manca al film sono proprio tensione erotica, sudore, lascivia. Ne ha poca la famosa star di Twilight Robert Pattinson, che forse anche qui è un vampiro in ottimi completini cashmere (in una scena ha la manicure da Nosferatu), ma non ne hanno neppure le sue poco discinte vittime: Uma Thurman che gli mette in bella i compiti per «La vie francaise», moglie di Forestier, l’amico giornalista minato dal male, al primo colpo di tosse è chiaro; Christina Ricci, signora infedele d’alta società che affitta garconnière per sexy incontri ed è la più molesta e gelosa; infine, fuori parte, Kristin Scott Thomas, madame Rousset, coniugata al potente direttore nell’epoca del colonialismo francese in Marocco, madre di una ragazza che sarà l’utilizzatrice finale del fascino di Bel Ami.
A Pattinson gli hanno detto di avere lo sguardo tenebroso e ubbidisce, anche quando si rivolge all’amministratore o al vetturino, da bell’involucro vuoto. Ci sono i fatti ma mancano le opinioni, cioè le introspezioni, i ripensamenti, i silenzi, le pause, lo sguardo dello scrittore, la quarta parete del pensiero. E non c’è un capolavoro tra i tanti Bel Ami del cinema: l’aveva girato Genina nel ’19, Willi Forst nel ’39, Albert Levin nel 47 (Il disonesto), indi un adattamento messicano e un remake di Daquin del ’55, mentre Sandro Bolchi diresse un ottimo sceneggiato tv nel ’79 in cui il tombeur de femmes era Corrado Pani. E la storia continua...
Fonte: CorriereDellaSera

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